Proprio poche settimane fa (qui) abbiamo parlato di Patrick Rothfuss, autore fantasy responsabile del ciclo de Le Cronache dell’Assassino del Re, e del fatto che non ci fossero ancora notizie in merito al terzo libro di questa interminabile saga, The Doors of Stone. Non che oggi la situazione sia cambiata, ma chi non ha ancora avuto modo di approcciarsi alla serie, potrebbe ora farci un pensiero: Mondadori, infatti, ha pubblicato una nuova edizione del primo volume di questo ciclo, Il Nome del Vento, che debuttò originariamente in Italia nel 2008.
Protagonista è Kvothe (o Kote il locandiere, come lo conosciamo all’inizio), e nel libro si rivivono tutti i passaggi della sua vita, dall’essere un bambino nomade, musicista e felice, fino ad arrivare a fregiarsi del titolo di Assassino del Re e doversi nascondere, diventando l’anonimo padrone di una locanda.
La maggior parte della storia è raccontata da Kvothe stesso, ormai giunto alla fine delle sue avventure, (nonostante non dovrebbe avere più di venticinque anni): l’uomo ha deciso di abbandonare la sua precedente vita, gestendo la Pietra Miliare sotto falso nome, aiutato dal suo allievo Bast. L’esistenza prosegue senza sorprese fino al momento in cui, nel giro di pochi giorni, alcuni avventori della taverna vengono attaccati da demoni-ragno e Kvothe viene avvicinato da Cronista, un uomo interessato alla sua storia, quella vera. Così il locandiere, tornato in contatto con il suo passato, senza neanche farsi pregare troppo inizia un racconto che dovrebbe spiegare come il suo nome sia diventato leggenda, al punto da doverlo dimenticare.
Il Nome del Vento si muove su due piani, uno in terza persona alla locanda, e uno in prima persona dove Kvothe racconta la sua vita. Si viene presi fin da subito dalla narrazione: le parole del protagonista immergono in un mondo di cui il lettore non riesce a comprendere tutto, nonostante si presenti vivo e vivido davanti ai suoi occhi. La narrazione offre molteplici sfumature, la visione dei nobili e quella dei poveri, dei meno istruiti e dei saggi, seguendo Kvothe nel suo percorso che lo porta da piccolo bardo viaggiatore a ragazzino di strada, fino a divenire studente dell’Accademia, la scuola di quella che è la magia di questo mondo. È una vita segnata da qualche trauma e altrettanti gloriosi successi: il viaggio di un ragazzo perennemente senza soldi, ma sempre in grado di cavarsela, un po’ troppo sicuro di sé, dotato di tantissimo carisma, talentuoso, simpatico, con tanti amici, ammirato da molti, apprezzato dagli insegnanti, intelligente e in grado di capire tutto e scoprire ogni tipo di segreti, ma che finisce poi col trasformarsi in un’ombra di ciò che era, costretto a nascondersi in un piccolissimo villaggio, in attesa della fine.

Patrick Rothfuss, l’autore
Il mondo descritto da Rothfuss è curato e dettagliato: la magia è sia una scienza per le persone colte, sia un mistero oscuro per chi non ha potuto studiare, e ogni Stato ha la sua lingua e la sua moneta. Lo stile di scrittura è avvolgente, e le parole, anche nella traduzione italiana, sono state scelte con cura. I passaggi dalla prima alla terza persona alleggeriscono un racconto che, se narrato esclusivamente dal punto di vista di Kvothe, sarebbe risultato certamente troppo pesante, permettendo quindi al lettore di prendere fiato di tanto in tanto. I commenti del protagonista stesso alle sue avventure, poi, fanno spesso sorridere, e si percepisce una leggera malinconia in alcuni passaggi.
Tutto molto bello, ma il problema è proprio Kvothe: se il mondo in cui ci si trova è un meraviglioso tavolo di gioco, Kvothe è un power player. È in grado di fare qualsiasi cosa, sempre e comunque, un cosiddetto Marty Stu, che potrebbe risultare anche difficile da sopportare fino alla fine della storia. È vero, a volte sbaglia, ma lo fa consapevolmente, e ogni suo errore non fa altro che portarlo di più verso la gloria. E quindi, mentre il locandiere racconta le sue avventure da ragazzo, si trova a descrivere passaggi che non fanno altro che allungare il brodo nell’autocelebrazione, dando l’impressione che a volte la storia si impantani.
Il nostro protagonista, insomma, si ama o si odia, non c’è via di mezzo: chiunque abbia voglia di immergersi in un mondo bellissimo e farsi guidare da qualcuno che è più vicino a un semidio che a un comune mortale, allora dovrebbe leggere il libro di Rothfuss. Per tutti gli altri, che sappiano a cosa potrebbero andare incontro!
–Caterina Gastaldi–
‘Il Nome del Vento’ di Patrick Rothfuss – Recensione
Caterina Gastaldi
- Bella scrittura, evocativa, descrittiva, viva e musicale;
- Universo ben delineato e vivido, raccontato con naturalezza come fosse stato vissuto;
- Raccontare la storia su due linee narrative permette di avere una visione migliore del mondo;
- Il personaggio di Kvothe sembra quasi onnipotente, e ciò può renderlo insopportabile;
- In alcuni momenti non è ben chiaro dove la storia voglia andare a parare;
- Ci sono capitoli che allungano inutilmente il brodo;