Date la possibilità a un giapponese di descrivere una città orientale e la troverete piena di alieni, assassini e fantasmi vendicativi: recidivo JoJo!
1992, erano passati 5 anni da quando Le Bizzarre Avventure di JoJo avevano macchiato per la prima volta col loro inchiostro le porose pagine della rivista Shonen Jump. A questo punto dovreste conoscere abbastanza bene l’autore Hiroiko Araki da poter intuire che, nonostante fosse già possibile considerare conclusa l’avventura, non fosse affatto disposto a staccare le macchine (rotatrici) e, anzi, non vedeva l’ora di rimettere le mani in pasta per esplorare nuove vie e sbizzarrirsi nella creazione di decine di atmosfere folli. Dopo aver iniziato con l’horror ed essersi convertito all’action – passando anche per il road trip – era giunto il momento di proporre qualcosa di completamente diverso e intraprendere con decisione la strada del manga investigativo.
Come spesso capita nell’industria dell’intrattenimento nipponico, anche Araki venne folgorato da un attacco di nostalgia che lo spinse ad abbandonare il tema del viaggio attraverso mete geografiche esistenti per potersi concentrare interamente sulla fittizia cittadina giapponese Morioh Cho che, putacaso, ricorda non poco il paese che gli ha dato i natali (Sendai) con l’aggiunta di qualche modifica minore nella speranza di non irritarne gli abitanti suggerendo che le loro strade fossero meta turistica di assassini e spiriti. Proprio a Morioh facciamo conoscenza dell’adolescente noto come Josuke Higashikata (che per i miracoli degli ideogrammi può essere abbreviato come JoJo); alto, sopracciglia folte, pettinatura pompadour, muscoloso… inutile girarci attorno, sappiamo già di trovarci innanzi al prossimo protagonista con sangue Joestar. Anomalo, piuttosto, risulta il fatto non vi sia stato un grosso salto generazionale – sono passati solo 11 anni dalla fine delle vicende narrate in Stardust Crusaders – e sappiamo con certezza che l’ultimo discendente del casato meritevole di rivestire un ruolo di rilievo sia Jotaro Kujo. Da dove è sbucato, quindi, questo nuovo ragazzone dal capello improponibile e dalle fobie ancora più bizzarre?
La risposta più semplice sarebbe “dai lombi di Joseph Joestar”; il protagonista di Battle Tendency, noto per le sue innate capacità nell’inganno, non è stato in grado di rimanere fedele alla moglie e, alla bellezza di 63 anni, ha inconsapevolmente generato un bambino assieme a una giovane orientale. Scoperto il frutto dell’adulterio grazie a una allarmante divinazione, Joseph incarica il nipote Jotaro di difendere il ragazzo dall’insidioso Angelo, un serial killer che ha fatto di Morioh il suo terreno di caccia e che mette l’acqua alla gola agli sventurati che incappano sul suo percorso. Nonostante queste temibili premesse, tuttavia, egli si rivela un semplice antagonista introduttivo che, in maniera non dissimile da quanto già visto nella seconda serie, viene presto liquidato – in modo estremamente crudele – per dare il via alle vicende e lasciare spazio ad avversari più accattivanti.
Josuke, affiancato da un amico non particolarmente brillante e da un moccioso inetto, si trova dunque improvvisamente trascinato in un mondo cruento con l’obiettivo di recuperare un artefatto antico in grado di risvegliare il potere stand, artefatto che tende irrimediabilmente a finire nelle mani di pericolosi sociopatici. La sottotrama di tale reperto – secondaria per questo episodio, ma fondamentale in un’ottica allargata – si rivela un ottimo pretesto per proporre scontri elettrizzanti e preparare il campo per la magistrale comparsa di un secondo serial killer, Yoshikage Kira, che diverrà la vera nemesi del gruppo. Per la cronaca, questa fissazione con gli assassini seriali è dovuta, più che a scarsa fantasia, a degli eventi di cronaca che hanno colpito il Paese del Sol Levante nei primi anni ’90 e che hanno segnato l’immaginario di Araki.
La quarta parte della saga si discosta in molti modi da quanto visto in precedenza. Evidente sin da subito è il definivo abbandono di quello stile emulo di Ken il guerriero per favorire un disegno fine ed esile che accentua i lineamenti femminili e snellisce le forme, spesso riducendo all’essenziale i tratti di china e affidandosi a un maggiore dinamismo. Anche la narrativa, seppure mantenendo uno stile affine al passato, cambia notevolmente rotta, concedendo ampio respiro ai personaggi, sacrificando il filone principale della trama – che, di fatto, viene introdotto solo dopo la pubblicazione di diversi volumetti – per concentrarsi sulla loro psiche ed esplorarne la quotidianità. Questa scelta, forse sviluppata in maniera un po’ goffa e acerba, ha lasciato amareggiati alcuni lettori, ma si è rivelata essere il fondamento su cui Araki ha deciso di snodare le successive evoluzioni intraprese (con successo) dalla saga. Volendo fare un paragone, Diamond is Unbreakable mostra diverse affinità con il lynchiano Twin Peaks, esplorando a fondo la vita privata di una piccola comunità apparentemente serena e finendo occasionalmente per perdersi in vicende sconclusionate o la cui incisione sugli avvenimenti risulta irrisoria. Come per il suddetto telefilm, anche il quarto episodio delle Bizzarre Avventure dimostra un valore estremamente altalenante e pare spesso non essere completamente consapevole della direzione da intraprendere. Questo difetto non si avverte affatto, tuttavia, nella presentazione dei nuovi personaggi che, anzi, dimostrano una definizione rasente l’eccellenza e una coerenza che mai si era vista nelle precedenti avventure vampiriche; un esempio fra molti è Josuke che, al posto di subire costanti e immotivati potenziamenti (Naruto, sto guardando te!), viene dotato sin da subito di poteri specifici che subiscono nel tempo un’evoluzione esclusivamente legata alla versatilità del protagonista nell’adattarli alle nuove sfide, ma senza mai infrangere logica e atmosfera.
Diamond is Unbreakable si è accattivato una notevole benevolenza sul suolo natio, ammaliando i fan con location più accessibili e fornendo esempi umani con cui potersi concretamente confrontare. Araki stesso ammette di provare profondo affetto nei confronti di questo episodio, eleggendo sia il protagonista che la sua nemesi nella top-ten dei suoi personaggi preferiti e ripromettendosi continuamente di tornare a narrare le vicende di Morio Cho. In tal senso ha già contribuito molto con diversi spin-off atti ad arricchire la mitologia (o le tasche di chi ha partecipato al progetto editoriale) e a esplorare passato e futuro dei portatori stand coinvolti; viaggi al Louvre per scoprire dipinti maledetti, investigazioni occulte condotte da spettri, réclame del marchio Gucci nel quale le borsette dimostrano capacità degne di Eta Beta, ma si notano anche approcci meno diretti quali le comparsate videoludiche nel mondo di Monster Hunter.
Coloro immuni al fascino orientale o poco desiderosi di entrare in intimità con muscolosi adolescenti giapponesi sapranno comunque divertirsi con l’esplosiva varietà di poteri folli che, al limite del nonsense, possono vantare di essere talmente bizzarri e astratti da invogliare il lettore a procedere con la lettura anche solo per poter soddisfare la curiosità sul come si svolgerà il successivo, imprevedibile, scontro. Se anche questo non bastasse, sappiate che con la conclusione di questo episodio l’autore da un taglio alla sua vena patriottica e riprende a scrivere capolavori apprezzabili in modo del tutto oggettivo e svincolati da influenze legate al territorio. Prossimamente vedremo l’avventura tutta italiana etichettata come Vento Aureo!
–Walter Ferri–