È normale vi siano attriti tra vicini, ma se ambo hanno a loro disposizione delle armate, le cose divengono intense. Ecco la Grande Guerra delle Lande Percorse.
Spesso capita di chiedersi quale sia l’essenza del Fantasy, quali tinte debba assumere per non valicare il limite che ne travierebbe l’anima e lo condurrebbe su altri generi. Frequentemente le trame di fantasia vengono sfruttatate per raddolcire l’amarezza di un racconto generazionale o per nascondere predominanti componenti satiriche che richiamano situazioni reali e verosimili, ma è altresì vero che esistono temi ricorrenti specifici della categoria: elfi, nani, orchi, dragoni fanno tutti parte di una realtà letteraria che anche i più inesperti sapranno riconoscere e affiancare al giusto contesto. Diego Romeo aveva evidentemente ben chiara la destinazione che avrebbe assunto la sua trilogia dei Racconti delle Lande Percorse e ha concentrato l’interezza del suo mondo immaginifico sulle epiche avventure delle creature sopra menzionate, ottenendo un risultato tanto sfaccettato ed enfatizzato da potere tranquillamente affiancarsi alle caotiche iconografie dei più creativi album heavy metal.
In passato abbiamo già trattato il primo capitolo della saga – Come nasce un cavaliere – nel quale viene esplorata l’ascesa dell’eroico dragoniere Hurik Van Gotten e introdotta l’armata nemica guidata dal Cavaliere Nero, ma ora abbiamo l’occasione di tornare sull’argomento per presentarvi il capitolo mediano delle vicende che scuotono le Lande Percorse: La Grande Guerra. Riprendendo la storia dalla crescente tensione bellica che caratterizzava il primo libro, La Grande Guerra – come si potrebbe evincere dal titolo – va a dare spazio e voce agli intensi scontri tra due potenze militari divise spiritualmente da profondi contrasti ideologici e geograficamente da uno strettissimo mare (facilmente sormontabile con mezzi volanti di ogni sorta). Gli umani, legati da un’alleanza ai guerrieri nani e agli arcieri elfi, lottano strenuamente per poter proteggere l‘Impero del Sommo Drago dagli assalti dell’Impero del Drago Profondo, sacrificando le loro stesse vite per contrastare le armate orchesche condotte da soldati d’élite che portano i nomi dei cavalieri dell’apocalisse. I cieli sono adombrati da enormi cittadelle volanti impegnate a coordinare dalla distanza gli schieramenti cercando di prevedere le mosse degli avversari, mentre il nucleo dell’azione è impegnato da draghi muta-forma governati da prodi combattenti che vantano enormi talenti sia nell’uso dell’arma bianca che in quello delle arti magiche. Spazio narrativo viene riservato anche ai soldati di basso rango che si trovano, volenti o nolenti, a vivere avventure troppo grandi per le loro aspettative, ai medici di campo condannati a seguire le sorti dello scontro interpretando le ferite dei loro assistiti e, sporadicamente, a cattivi introspettivi impegnati a valutare il valore dei propri avversari.
La Grande Guerra, aprendosi e chiudendosi in medias res, si pone come essenziale secondo capitolo dei Racconti delle Lande Percorse e necessario passaggio per essere in grado di seguire questa trilogia coerente e omogenea. Restando fedele alla tecnica narrativa adottata in precedenza, Diego Romeo alterna alla vicenda principale dei paragrafi atti a esplorare gli eventi passati o che approfondiscano temi culturali caratterizzanti il suo universo fantastico e, nel farlo, opta per scelte stilistiche che seguono uno schema riminiscente di quelle padroneggiate nell’Ulisse dell’irraggiungibile James Joyce. Paragonare le avventure di Hurik al più celebre lavoro di un genio letterario del Regno Unito sarebbe ingiustamente sleale e, piuttosto, andremo a scomodare – solo a fini comparativi – il contemporaneo e popolarissimo G. R. R. Martin (noto per le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco); come quest’ultimo, l’autore espone gli avvenimenti seguendo le fatiche di un nutrito numero di personaggi di ambo le fazioni, fornendo un’immagine onnisciente e creando un costante flusso di notizie. Maggiormente elaborata – e parecchio audace – è la decisione di abbinare diverse tecniche di scrittura alle varie tipologie di paragrafo contenute nell’opera. Al limite del virtuosismo, questa pratica necessita sempre di un grande talento affiancato da un’oculata gestione del ritmo narrativo, anche gli autori più navigati la temono e la evitano per la sua difficoltà e per le forti limitazioni che essa impone. Molti scrittori preferiscono essere come l’acqua di un torrente che lambisce ed evita le pietre che ne ostacolano il flusso, ma il caso in questione ha voluto affrontare direttamente l’impresa e il lavoro finale ne viene sensibilmente influenzato. In passato abbiamo affermato che la scelta di vocaboli arcaici abbia generato un prodotto poco scorrevole, ma a creare veramente attrito è la forte dissonanza tra i registri lessicali adoperati; sebbene i sedicenti trattati di teologia, posti quasi a parafrasi delle teorie filosofie elleniche e non, e i sobri e conservatori flashback riescano a mantenere standard consistenti e godibili, gli eventi che vanno a definire gli esiti della guerra rimangono segnati da fredde descrizioni e da discussioni teneramente ingenue.
L’autore ha precedentemente dichiarato di essere passato ai romanzi come naturale evoluzione del suo dilettarsi nei Giochi di Ruolo: le trame che tesseva si sono infittite e articolate col tempo, abbandonando il tracciato della mera attività ludica e arricchendosi di dettagli che avrebbero avuto poco respiro in partite governate, di fatto, dalle scelte dei partecipanti. Questo retaggio, tuttavia, si manifesta in maniera violenta durante molte scene descrittive, spingendo il testo ad assumere una connotazione affine alle avventure interattive a scapito di un’immersione completa nelle atmosfere delle Lande Percorse. Capita spesso, infatti, che dettagli minori siano esplicitati in maniera sterile, fornendo sin da subito tutte le annotazioni utili a catalogarli, prediligendo un approccio nozionistico piuttosto che a uno descrittivo-sensoriale che potrebbe fornire loro una discreta dose di spessore. Altrettanto importante è l’influenza che nascita e cultura di Romeo hanno portato al suo lavoro, con evidenti riferimenti alla religione cattolica, alla cultura romana e alla città di Napoli; ciò rievoca nel lettore conoscenze già acquisite che lo aiutano a digerire l’intreccio e gli permettono di memorizzare i dati topologici e gerarchici, ma il fare leva su nozioni aliene all’universo in questione (che, per esempio, poco avrebbe a che fare con ebraismo e cristianesimo), abbinato agli informalissimi battibecchi tra i cavalieri, rischiano di strappare il lettore dall’immersione e creano un forte contrasto con le altre sezioni.
La Grande Guerra, così come il suo predecessore, è figlio di decenni di avventure a Dungeon&Dragons e ne rispecchia per intero le atmosfere più intense, fornendo, con i suoi draghi dai mille colori e coi terribili nemici creati sul profilo di paure ancestrali codificate da secoli, materiale che potrebbe essere riconvertito senza troppa fatica in gioco. Si tratta di un testo adatto a tutti coloro alla ricerca di una lettura veloce e agile, consigliabile agli irriducibili fanatici che festeggiano ogni nuova uscita del noto Gioco di Ruolo fantasy o che cercano valide alternative ai terribili film tratti da esso.
– Walter Ferri –