Date la possibilità a un giapponese di descrivere l’epoca vittoriana e la troverete piena di zombi, vampiri, miti aztechi e lame rotanti: ecco JoJo!
Mai, mai scorderemo gli attimi in cui la Terra ospitava shonen (manga e anime indirizzati a un pubblico maschile adolescente o che ha superato la maggiore età, ndr) che non avevano ancora subito la pressante influenza di Dragon Ball. Era un periodo di transizione, prima che una nota compagnia televisiva iniziasse a proiettare in un eterno loop le avventure di Goku e della squadra Z, quando i fanciulli erano costretti a esplorare di nascosto le oscure emittenti regionali per cercare i cartoni animati giapponesi che i genitori denigravano.
Gli esempi su cui fondare il futuro erano omaccioni muscolosi, violenza indiscriminata e fumetti così carichi di ombreggiature da lasciare l’inchiostro sui polpastrelli ogni volta che era necessario voltare pagina. Gli uomini erano così uomini che per risolvere ogni disputa usavano i pugni, per curare malattie terminali usavano i pugni, per farsi il tè si scaldavano l’acqua… ma l’acqua la ottenevano prendendo a pugni il suolo! Ispirato da questi stessi fumetti, Hiroiko Araki – un individuo amante dell’arte che ha iniziato a interessarsi ai fumetti perché le sue sorelle gli rubavano la merenda – ha provato a ricavarsi uno spazio con il breve Baoh e ha esplorato le sue possibilità con la particolarità di Gorgeous Irene, ma è riuscito a conquistare il suo posto nel paradiso dei mangaka solo nel 1987, con l’uscita della longeva saga nota come Le Bizzarre avventure di JoJo.
Allontanatosi dall’estro alternativo dei suoi primi lavori, Araki decide con JoJo di affidarsi a una formula più discreta e sicura, emulando lo stile di Tetsuo Hara (disegnatore di Ken il guerriero) e optando per una narrativa maggiormente affine ai romanzi europei dell’Ottocento. Ci viene quindi presentato Jonathan Joestar (detto JoJo), rampollo del casato nobiliare dei Joestar che, in un’Inghilterra del 1880, si trova a difendere e tramandare i suoi valori estremisticamente cavallereschi nonostante le diffidenze dei vicini e gli ostracismi del destino. Ancora in fasce, viene coinvolto in un mortale incidente in carrozza e riesce a salvarsi solamente grazie all’estremo sacrificio materno; nella medesima occasione viene introdotto il lestofante Dario Brando (la cui famiglia rispecchia il lato opposto dello spettro umano, indugiando nei vizi in ogni loro forma e mostrando un carattere malevolo ed egoista) che accorre sul luogo della disgrazia per poter saccheggiare i corpi dei nobili e, frainteso negli intenti, viene riconosciuto come buon samaritano, accattivandosi la riconoscenza del patrono patrizio che, a distanza di anni, accoglierà il figlio Dio nella sua dimora.
Dio Brando viene sin da subito identificato come il cattivo per antonomasia, un Dr. Male sadico e senza scrupoli il cui scopo è l’ottenere titoli e potere della famiglia Joestar acquisendo lo status di figlio prediletto e gettando dubbi sull’integerrimo primogenito. La situazione si complica enormemente quando entra in scena una maschera di pietra azteca nota con l’originale nome di “la maschera di pietra“; tale strumento è un OOPART che, una volta inumidito con del sangue fresco, rilascia dei lunghi aculei ossei che, penetrando il cranio del portatore, stimolano sezioni inutilizzate del cervello, trasformando, di fatto, in vampiri immortali – vampiri che, a loro volta, sono in grado di risvegliare le proprie vittime come docili e ubbidienti zombi. Per fronteggiare questo nuovo e sovrannaturale pericolo, Jonathan viene affiancato e allenato da un barone italiano, William Antonio Zepelli, il cui obiettivo è distruggere la maschera (che un tempo aveva corrotto l’animo di suo padre) e tutte le creature malvagie da essa generate, evitando così il diffondersi della piaga. Con l’ausilio dell’Hamon (o energia concentrica), una tecnica respiratoria originata tra le montagne tibetane e in grado di contrastare le forze nonmorte, si troveranno ad affrontare stereotipi razzisti di combattenti cinesi, personaggi celebri rinati come creature della notte e persino un paio di cavalieri risorti che, rancorosi per la morte della regina Maria Stuarda, sfogheranno il loro malcontento sotto forma di sfide medioevaleggianti.
Il primo capitolo de Le bizzarre avventure di JoJo – detto Phantom Blood – ha uno stile grafico ortodosso che non si discosta grandemente dai fumetti dell’epoca, ma mostra già nei piccoli dettagli quell’evidente barlume di follia che contraddistingue la mentalità insolita del suo autore. Appassionato del disegno degli stilisti, Araki omaggia Antonio Lopez e Tony Viramontes emulandone sia le pose improbabili che gli accessori puramente estetici (non è quindi insolito che bisonti antropomorfi alti 2 metri e con bicipiti grossi quanto la coscia di un asino adottino posizioni degne di modelli efebici), mentre nella scelta dei nomi preferisce sfogare il suo fanatismo scomodano i grandi della musica, del cinema e dell’industria della moda (tra quelli nominati qui sopra vi sono riferimenti a un gruppo hard rock, a un cantante heavy metal, a un attore e a una canzone dei Beatles… riuscite a ricollegarli tutti?).
Nonostante la semplicità e la brevità – la prima stampa italiana racchiudeva l’intera vicenda in sette volumetti – che contraddistinguono questo lavoro, il manga si è accattivato l’affetto di fan e curiosi grazie a un’atmosfera enfatizzatamene epica, dettagli curati fino ai minimi particolari e, soprattutto, una “mitologia” romantica tra orrore e magia che viene esplorata in maniera approfondita senza, però, andare a sfociare in pesanti verbosismi destinati a essere dimenticati non appena la situazione lo richieda (Naruto, sto guardando te!).
Nel 2007, per il ventesimo anniversario dell’opera, è stato proposto un adattamento sul grande schermo che, tuttavia, ha riscontrato uno scarso successo; non che abbia avuto problemi al botteghino, sia chiaro, ma il pignolo autore, dopo aver visionato la pellicola, la reputò deludente e semplicistica, decidendo di ostracizzarne la diffusione nei cinema e impedendone la trasposizione a home video.
I pochi che hanno avuto l’occasione di visionare il prodotto teorizzano che la scelta sia dovuta alla rimozione di diversi personaggi secondari a cui Araki tiene molto e, soprattutto, a una troppo sintetica esposizione dell’Hamon e del suo funzionamento. Nonostante questo disguido, cinque anni dopo si è deciso di concentrarsi nuovamente su Le Bizzarre Avventure e di iniziare a produrre una nuova serie di anime in concomitanza con il venticinquesimo compleanno della saga.
Le Bizzarre avventure di JoJo: Phantom Blood è decisamente figlio di un’epoca diversa, più ingenua e coatta, ma le sue scelte narrative e il forte scontro tra valori morali assoluti catturano il lettore, trascinandolo in una spirale a spire strette che lo convince a terminare la lettura e imbarcarsi repentinamente nel secondo capitolo della saga: Battle Tendency. Non potete lasciarvelo fuggire se desiderate scoprire le origini di una strepitosa epopea generazionale (tutt’oggi in corso) o se, perlomeno, vi mancano quei cari fumetti in cui l’eroe prendeva a calci chi gli si opponeva fino a farlo liquefare in una pozza di melma.
– Walter Ferri –