“A te, lettore, dico: in questo labirinto di storie è facile perdersi ma è possibile ritrovarsi….”
Pirin, Le Memorie di Helewen, che è il primo volume della saga del ticinese Sebastiano B. Brocchi, è un’opera che appare sin da subito come un romanzo sui generis: basta sfogliarlo, e salta subito agli occhi la ricca appendice a colori, vera e propria enciclopedia illustrata che fa una panoramica dei luoghi, delle razze, delle divinità e delle casate che il lettore può trovare durante la narrazione, passando per calendario ed alfabeto. È un piccolo gioiello che richiama un po’ il lavoro di Tolkien in LOTR, ma che se ne discosta perché composto in massima parte da immagini.
Il romanzo rispecchia questa tendenza dell’autore alla ricercatezza, il suo amore per il bello: è sofisticato, e questo è il suo punto di forza come potrebbe essere la sua debolezza.
Il libro infatti è costruito su descrizioni minuziose, ricche di aggettivi e di periodi lunghi e questo potrebbe stancare; di contro però Brocchi ha avuto cura di dividere le quattrocento pagine in capitoli molto brevi, cosa che facilita lo scorrere del testo.
Se vi aspettate una narrazione veloce, piena d’azione, Pirin non è quello che fa per voi. Ma se avete voglia di addentrarvi in un mondo costruito in maniera certosina, complesso, articolato ma non noioso, allora non esitate, Le Memorie di Helewen è il libro adatto in cui immergersi, da cui farsi catturare.
Brocchi sfrutta l’espediente del memoriale per ricreare una narrazione che richiama grandi opere come Le mille e una notte, storie nella storia. Nella sfarzosa magione di Mathìr-ath-Adurini, Villa delle Magnolie, giunge il giovane Nhalfòrdon-Domenir, Splendente Narciso che, costretto su una sedia a ruote, non può seguire i genitori nel loro viaggio verso le terre sconosciute oltreoceano, e viene quindi ospitato dal re Helewen, che gli farà da padrino. Il sovrano, uno degli ultimi Pirin rimasti, semidei di una stirpe quasi estinta, racconterà al suo pupillo, divenuto per l’occasione scriba, le mille e mille storie che costituiscono il corpus dell’opera, una congerie di memorie, mitologie, poemi, aneddoti che vanno dall’antichità del mondo fino alla contemporaneità della narrazione.
È un fantasy raffinato, di quelli che si amano o si odiano. A me, personalmente, è piaciuto.
È un libro articolato, ricco, impegnativo da leggere, ben lontano dagli stereotipi del genere e dal fantasy usa e getta.
I difetti di quest’opera ponderosa sono pochi: in primis, l’utilizzo sconsiderato delle virgole tra soggetto e predicato verbale, che va un po’ ad abbassare il tono della narrazione; inoltre alcuni periodi sono un po’ troppo lunghi, con molte subordinate. In un testo che è già di per sé così complesso c’è bisogno di una maggiore scorrevolezza, ed è un peccato che un’opera così bella e curata non abbia avuto l’editing che si merita.
Un altro appunto è per i nomi: caro Brocchi, non mi ricorderò mai i lunghissimi e complicati Mathìr-ath-Adurini o Pafantehes-yedo, ho dovuto scrivere questa recensione con libro alla mano! Penso che il lettore medio abbia la stessa difficoltà che ho avuto io, che pure sono avvezza alle strane nomenclature del fantasy.
In definitiva, quella dei giovane ticinese è un’opera che ha un grande valore, di cui aspettiamo il seguito ed il relativo videogame, a breve in uscita.
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– Barbara Sergio –